Dagger ~ 'cause insane minds think alike


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  1. Nim
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    Pubblicata su Gerry's Ladies ben sei anni fa. Mai completata, purtroppo.





    Trama: ispirato dal film Timeline, con Gerard Butler. La storia è ambientata poco prima degli eventi del film, sempre in Francia.
    Capitoli: 2
    Genere: Avventura, Commedia, Romantico
    Rating: giallo
    NB: una scena piccante, ma non troppo :)
    Completa: no



    Capitolo 1

    “Pedala, pedala, pedala!”.
    La bicicletta sobbalzava sui sassi del vialetto, ma era quasi impossibile evitarli. Il sole era ormai tramontato da qualche minuto, e l’assenza di lampioni in quel tratto di strada non facilitava la corsa frenetica della ragazza.
    Ma sassi e oscurità non erano gli unici ostacoli a rallentarla.
    La salita che portava al castello era estremamente ripida, e sebbene Nim fosse di fretta, era praticamente impossibile salirci in bici. Sarebbe stato comodo avere un cavallo in quel momento, era chiaro che a quei tempi la strada fosse comoda per chi poteva avere a sua disposizione una cavalcatura.
    Nim appoggiò la bici, legandola alla rete che recintava il giardino inferiore del castello.
    Una capretta alzò la testa, brontolò per essere stata svegliata e se ne tornò a dormire.
    La ragazza iniziò la salita con il fiato già corto.
    Aveva accettato entusiasta la scelta del luogo del suo stage, sebbene avrebbe preferito un castello in Inghilterra piuttosto che in Francia.
    Più che altro perché lei il francese non sapeva assolutamente parlarlo.
    Ma i posti erano già stati assegnati ai suoi compagni più meritevoli, e lei si era vista sfilare due opportunità: uno zoo in Camargue o un castello in Auvergne.
    Senza un attimo d’esitazione aveva scelto il castello, fin da piccola aveva avuto la passione per la vita medievale, le dame e i cavalieri, e dalle foto il Castello di Murol sembrava essere uscito da qualche antica leggenda.
    Non essendo una studiosa d’archeologia, si era premunita di libri sull’argomento. Ma i professori le spiegarono che lo stage consisteva nel fare da supporto allo staff del castello, e che quindi non le avrebbero chiesto di restaurare un muro o portare alla luce armi sepolte da secoli sotto il terreno.
    Non ne aveva le capacità, essendo una studentessa di lingue e letterature.
    Avrebbe invece aiutato la Companions di Gabriel, un’associazione che ricostruiva la vita medievale con tornei e rappresentazioni in costume.
    Oppure avrebbe semplicemente aiutato stando alla cassa e distribuendo biglietti.
    Ma le cose non andarono proprio come le avevano illustrato i suoi professori.
    Al suo arrivo a Murol in un caldo pomeriggio d’agosto, dopo essersi sistemata nell’alloggio scelto dalla sua scuola (una piccola locanda nel paese, a poche centinaia di metri sotto il castello), aveva ricevuto la visita di una ragazza, Cindy, che tutta agitata in un misto di francese e poco inglese le aveva subito riferito il ‘piccolo’ cambiamento nel programma dello stage.
    “Cosa? Ma io non so assolutamente niente, non sono un’archeologa!”.
    “Oui, io capisco…ma poutet aiutare Companions du Gabriel même, e nel frattempo dare mano a monsieur Marek”.
    Cindy era una ragazza carina, ma aveva la tendenza ad agitarsi troppo, e quando era sotto stress fumava come una ciminiera.
    Nim aveva acconsentito al cambio di programma, più che altro per liberarsi della ragazza francese che le fumava in faccia.
    Cindy l’aveva abbracciata fino quasi a stritolarla, cosa impressionante visto quanto era magra, e l’aveva sollecitata a seguirla subito al castello.
    “Preferirei disfare le valigie, magari cambiarmi…”.
    “Non non! Il cours di Marek inizia aujourd’hui, e io devo lavorare alla caisse. Non pousso perder tempo!”.
    “Ma cosa devo fare?” chiese Nim, mentre la francese praticamente la strattonava verso la sua auto.
    “Après, après!”.
    “Après? Devo aprire la porta? Ehm…non capisco…” ma Nim non ricevette risposta, e l’auto la portò verso il castello.
    Una risposta più chiara la ebbe non appena raggiunto il cortile interno delle mura, dopo una lunga e faticosa salita a piedi.
    Ad aspettarla c’era un uomo basso, di una certa età, molto sudato e con la testa fasciata.
    “Questo è monsieur...pardon, señor Rigual, parla con lui e tutto poi va bien. Devo aller! Au revoir!”.
    “No Cindy, aspet…ecco, bene” sbuffò Nim, mentre si girava verso l’uomo davanti a lei.
    “Buenos dias, mi nombre es Jorge Rigual y...”.
    Parlò per una buona ventina di minuti in spagnolo, e dopo ore di viaggio Nim sentiva che la testa stava per scoppiarle.
    Jorge Rigual aveva lavorato come professore di Storia e Letteratura Occidentale all’università di Madrid, ma adesso, essendo in pensione, aveva deciso di trascorrere la sua vecchiaia in Francia.
    Il castello di Murol ospitava un gruppo di ricercatori, studenti universitari da varie parti del mondo, e un folto gruppo era di lingua spagnola; il professore era stato chiamato per dare una mano come interprete, sapendo egli parlare diverse lingue.
    A capo del gruppo c’era Andre Marek, arrivato direttamente dall’università di Yale, dove lavorava come assistente di Storia.
    “Mi sta dicendo che devo prendere il suo posto come interprete?! E’ uno scherzo, vero?” chiese Nim, la bocca aperta dallo sbigottimento.
    “Lo sè bien, es un lavoro muy difficile, ma non puedo restar. Es la nuestra unica solucion, non podemos trovar un otro interprete en così poco tiempo! Es solo un mes, no creo serà dificil por ella.”.
    “Ma non parlo così bene lo spagnolo...e poi, tutti quei termini tecnici...come farò?”.
    “Lo siento, pero, como vede, mi testa està muy male. No soy più joven e devo andar subito al hospital”.
    “Ma come è successo? Intendo, la testa.”
    Rigual indicò una parte del castello, un muro con molti sassi fuori posto trattenuti da un piccolo nastro rosso di plastica.
    “Estava hablando con Andre, y una roccia se ha caido y BOOM! todo negro. No puedo restar aqui, señorita, lo siento, ma mi salud...”.
    Nim sospirò: d’altronde non le lasciavano scelta. Il vecchio professore le strinse le mani, l’abbracciò forte (“oggi mi si romperanno le ossa, lo sento” pensò la ragazza) e s’incamminò fuori dal castello.
    Cindy le aveva spiegato che la lezione si sarebbe tenuta nel Campo d’Onore, ma Nim non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
    Si mise ad osservare il castello. Era un enorme fortezza in pietra, costruita su di un piccolo promontorio, che dominava la verde vallata circostante.
    In quella bella giornata di sole c’erano molti turisti che giravano per il giardino e per la piccola Fattoria lì accanto, e Nim sarebbe rimasta per ore a guardare i bambini giocherellare con le galline, seduta vicino ad un piccolo cannone che dominava il paese di Murol.
    Dopotutto poteva considerare quello stage come una vacanza, aveva la fortuna di trovarsi in un bellissimo posto e l’occasione di lavorare in un castello, che...
    “Ciao”.
    Una voce la portò alla realtà e Nim alzò lo sguardo verso la persona davanti a lei.
    Era un uomo molto giovane, che la fissava sorridendo, con una enorme sacca in mano.
    “Cindy mi ha detto che sei la nuova arrivata, quindi sei...? Scusa, non mi ha detto il nome! E’ già tanto se capisco cosa dice, hehehehehe!”.
    “Nim Bettella” disse la ragazza, alzandosi e fissandolo dubbiosa. “Almeno parla inglese” pensò.
    Lui le porse la mano e gliela strinse forte.
    “Io sono Andre Marek, piacere. Scusa se non stiamo qui a parlare, ma dobbiamo andare subito. Mari e Gaspar staranno aspettando! Vieni!”.
    Il Campo d’Onore era una piazza lunga e stretta, proprio sul fianco del castello, che al tempo veniva probabilmente usata per i tornei, e dove la Companions di Gabriel organizzava le varie gare a cavallo e i combattimenti con la spada.
    In fondo al Campo si ergeva una piccola torre, che poi Nim avrebbe scoperto chiamarsi Torre del Capitano.
    Seduti davanti alla torre stavano due ragazzi, intenti a chiacchierare.
    “Hola ragazzi. Ecco Nim, la nostra salvezza!” urlò Marek, rivolto ai due.
    La ragazza, Mari, si alzò e si diresse sorridente verso Nim, seguita a ruota da Gaspar.
    Mari era una ragazza alta e dai capelli ramati, di costituzione robusta, e Nim tirò un sospiro di sollievo per non essere stata abbracciata.
    Gaspar era invece un ragazzo basso e magrolino, che subito mise in chiaro di voler essere chiamato Gas.
    Avevano più o meno la stessa età di Nim; studenti di archeologia all’università di Madrid, avevano colto l’occasione offerta dal castello di Murol per poter lavorare sul campo.
    Facevano parte di un gruppo di sette studenti, tutti spagnoli; ma adesso gli altri cinque erano tornati a casa per le vacanze estive, mentre Mari e Gas avevano deciso di restare.
    Purtroppo il loro inglese era peggio di quello di Cindy, e per questo il professor Rigual era stato chiamato ad aiutare Marek, che non parlava una parola di spagnolo, tanto meno di francese.
    “Ehm, siamo solo noi quattro qui?” chiese Nim, rivolta a Marek, che stava armeggiando con la sacca.
    “Già. Gli altri spagnoli son tornati a casa. Avevamo anche due francesi, ma ci son stati problemi con la loro università, quindi...siamo solo noi quattro!”.
    Marek le sorrise, e Nim ebbe un piccolo brivido.
    Gas era un bel ragazzo, dal sorriso allegro e dai dolci occhi nocciola, ma Marek era tutt’altra cosa.
    Era un giovane sulla trentina, e pure alto e affascinante; non era proprio l’idea che Nim si era fatta di un insegnante di archeologia!
    Dopo le varie presentazioni, fecero fare alla ragazza il giro del castello, andando a sedersi in un posto più tranquillo, che Marek le aveva detto chiamarsi Pré de Geste.
    “Non dovrai fare molto, a parte tradurre ogni tanto quello che non capiscono”.
    “Ma allora l’inglese lo sanno?” chiese Nim.
    “Sì, ma nella maggior parte dei casi capiscono una cosa per un’altra. Come quella volta che gli chiesi di ‘lasciare’ un pezzo di roccia che avevo appena controllato all’entrata. Capirono ‘lanciare’ e puoi immaginare la fine di quel sasso...comunque, non faremo grandi cose. Ad agosto c’è un grande afflusso di turisti ed è difficile ricavarsi uno spazio per lavorare. Ho parlato con la Companions, e mi son messo d’accordo per organizzare qualcosa. Ma ne parleremo un’altra volta. Credo sia meglio se vai a riposarti un po’, ok? Dopo un viaggio così lungo sarai a pezzi! Cindy a volte esagera, ma è una brava ragazza. Non l’ho ancora capita, ma sembra simpatica”.
    Nim si alzò, e stava per salutare tutti, quando Marek la fermò.
    “Alla sera ci troviamo tutti nel bar accanto alla locanda. Se non sei troppo stanca, puoi fare un salto!”.
    “D’accordo, la ringrazio dell’invito”.
    “Hey, non serve essere così formali. Qui siamo tra amici” e la fissò con i suoi occhi verdi e profondi.
    Nim sorrise e annuì.
    “Ci sarò con molto piacere!”.
    Invece la sera era già scesa, e Nim non era al bar con gli altri.
    “Maledetto cellulare, maledetto, maledetto! Ma che diavolo, non ha colpa sua...stupida, stupida, stupida!”.
    La ragazza imprecava col pensiero, perchè ormai non aveva più fiato per parlare.
    Ma almeno era arrivata alla fine della salita, e stava davanti alla porta d’entrata del castello.
    Era aperta!
    “Un po’ di fortuna...”.
    Accese la piccola torcia che teneva in tasca, e si mise a cercare il suo cellulare, sparito misteriosamente.
    Era sicura di averlo perso al castello, perchè l’aveva spento mentre parlava con il professor Rigual. E aveva deciso di riaccenderlo non appena entrata in stanza.
    Era buio, sebbene il piccolo spicchio di luna illuminasse il giardino.
    Nim passò accanto alla stalla e al pollaio, diretta al Pré de Geste. Era rimasta seduta a lungo, per terra sull’erba, probabilmente il cellulare le era caduto lì.


    Una volta salutati Nim e gli spagnoli, Marek aveva iniziato a svuotare la sacca.
    All’interno teneva il suo arco, nero e lucido come l’ebano. Aveva intagliato lui stesso il legno, seguendo le indicazioni lasciate in testi antichi, sebbene per sistemare i trefoli di canapa avesse chiesto l’aiuto di un esperto nell’arte di costruire archi.
    Aveva fatto pure le frecce, e adesso le stava sistemando una ad una sopra il lungo tavolo di legno, attento che le piume d’oca non si rovinassero, altrimenti la freccia avrebbe preso una direzione sbagliata.
    Ogni sera, non appena i turisti venivano invitati ad uscire dal castello, trascorreva le ultime ore di luce ad allenarsi.
    Aveva letto molti libri sul mestiere dell’arciere, ma Marek preferiva la sperimentazione sul campo: provare la sensazione di tendere l’arco, sentirlo vibrare, e vedere la freccia colpire il bersaglio.
    Che in questo caso era rappresentato da una sagoma in legno, dipinta di blu e rosso.
    “Andre, io retourn all’auberge, ce soir ci vediamo tutti al bar?”.
    Cindy stava fumando l’ennesima sigaretta, il piede che batteva sull’erba.
    Marek si alzò da terra, appoggiò l’ultima freccia sul tavolo, e si diresse verso la ragazza.
    “Sai che preferirei stare noi due da soli, seul moi et toi, mon petit...” e stava per abbracciarla, ma lei gli puntò la sigaretta sul naso.
    “Andre, ho già dit che non mi piaci, toi e gli autre, esco alla soir con vous solament per boire una birra. Ma quando l’été finisce, finalmente me ne vado da ce stupid pays!”.
    Cindy lavorava al castello come bigliettaia, ma era solamente un lavoro estivo. Originaria di Nancy, trascorreva le vacanze a Murol per badare alla vecchia nonna. Non di sua spontanea volontà, ma per ordine dei genitori, che l’avevano minacciata di toglierle la piccola quota mensile che le permetteva di vivere da sola.
    “Ah, ricorda di fermer il portone appena esco!” gli urlò, mentre si allontanava a passo svelto.
    “Sì, sì...” sbuffò il giovane, tornando al suo arco.
    Andre non trovava stupido il paese di Murol. Era il tipico villaggio cresciuto ai piedi di un antico castello. Una volta alla settimana, il mercoledì, ospitava un grande mercato.
    Adesso che era arrivata l’estate c’era molta più vita ad animare le giornate di Murol, ma nella bassa stagione ritornava ad essere un piccolo paese nel cuore della Francia.
    Però su una cosa Andre era d’accordo con Cindy: non c’era abbastanza gioventù. Anzi, proprio non ce n’era.
    Aveva provato a familiarizzare con la ragazza francese, ma dopo due serate tentando di capirsi, Marek era arrivato alla conclusione che la ragazza era troppo raffinata, e Cindy che il ragazzo era uno zotico fissato con archi e spade.
    Le sole ragazze che rimanevano erano le tre studentesse spagnole. Ma due erano veramente troppo brutte, sebbene molto simpatiche ed intelligenti . L’unica era Mari. Erano rimasti spesso da soli al bar, tentando di chiacchierare di qualcosa.
    Una sera, mentre la riaccompagnava in stanza, Marek l’aveva abbracciata e si erano scambiati un lungo bacio.
    Sembrava che le cose andassero bene, lei sembrava starci, e lui la stava lentamente spingendo dentro la stanza; quando all’improvvisso compare Gas e Mari, vedendolo, si è fermata, e senza dir niente è entrata in stanza, sbattendo la porta in faccia al povero Marek.
    Si scoprì poi che Mari aveva una cotta per Gas, e che stava solo cercando di attirare l’attenzione facendolo ingelosire. Cosa che funzionò, perchè i due si misero insieme, formando una coppia molto buffa, essendo lei un colosso, lui mingherlino.
    E Marek rimase a bocca asciutta.
    Mentre tendeva l’arco, gli balenò nella mente l’immagine della nuova arrivata, Nim.
    Era carina, con i capelli corti e il largo sorriso.
    Grazie al cielo sapeva parlare inglese, ma non la conosceva abbastanza per dire se fosse simpatica oppure no. Le era sembrata silenziosa, ma molto probabilmente era dovuto al fatto che si sentiva ancora un po’ spaesata.
    “Sarà mio dovere farle da guida” pensò tra se, sghignazzando. E sbagliò mira, la freccia oltre la sagoma andò a colpire la costruzione in legno sul retro, una specie di rimessa.
    “Colpa del buio...già...” fu il commento.
    Decise che era ora di accendere una torcia e, appoggiato l’arco sul tavolo, si diresse proprio dove la freccia era andata ad incastrarsi.
    Solitamente teneva lì i rami e la tanica di benzina, ma perdeva sempre l’accendino.
    “Forse Cindy ne ha lasciato uno alla biglietteria” e uscì, appoggiò l’occorrente per la torcia sul tavolo e andò verso l’entrata del castello. Passò per la stalla per fare più in fretta.
    Approfittò dell’occasione per salutare i cavalli, in particolare Bernard. Era un bellissimo animale, dal manto marrone, e il giovane non perdeva occasione per uscire a cavalcare nella campagna francese. Si era affezionato in modo particolare a quel cavallo, e stava trattando con la Companions per poterlo acquistare.
    Marek faceva l’assistente all’università di Yale, ma non era americano. Era scozzese, e a Glasgow aveva la piccola fattoria della famiglia dove Bernard avrebbe potuto scorazzare liberamente.
    “Ciao Bernie! Mangiato la pappa? Domani facciamo un giro, va bene? Ciao bello, buonanotte!” e uscì dalla stalla.
    Come aveva immaginato, trovò un accendino nel cassetto sotto la cassa. Sicuramente Cindy l’avrebbe ucciso se avesse scoperto che l’aveva fregato lui. E l’avrebbe sicuramente scoperto, perchè non era la prima volta che succedeva.
    Marek si accorse che la porta del castello era ancora aperta e la chiuse. Ritornò al Pré de Geste, giocherellando con l’accendino. Sebbene fosse buio, conosceva a memoria ogni metro del castello, e la poca luce della luna bastava a non farlo inciampare su di un sasso.
    Una volta davanti al tavolo, gli venne una strana idea: frecce infuocate.
    La coscienza gli diceva di non farlo, c’erano paglia e legno tra lui e il bersaglio, anch’esso in legno. Ma dopotutto era da solo, aveva un secchio d’acqua proprio sotto il tavolo. E se non si distraeva aveva una buona mira.
    Prese una freccia e le arrotolò un piccolo straccetto imbevuto di benzina sulla punta. Poi avvicinò l’accendino e le diede fuoco.
    Quella piccola fonte di luce illuminò il volto di Marek, che era serio e concentrato.
    Incoccò la freccia, tese l’arco, si concentrò sulla sagoma di legno, e dopo pochi secondi la fiamma stava volando lontano da lui.
    Non aveva fatto in tempo ad abbassare l’arco che un urlo squarciò le tenebre.
    Marek sussultò e corse subito verso la sagoma di legno. La freccia aveva centrato in pieno il bersaglio, e la luce stava adesso illuminando una figura lì accanto, pietrificata dallo spavento.
    “Ma...cosa...Nim?! Ma che cosa ci fai qui? Tutto bene?”.
    Marek le mise un braccio sulle spalle e la allontanò dal bersaglio, portandola dentro la rimessa e facendola sedere su di una panca.
    “Mi scusi, mi scusi, non volevo...” continuava a dire la ragazza sotto shock, la mano sul cuore, mentre Marek spegneva con l’acqua la freccia, e accendeva la torcia per far luce.
    “Tutto bene? Non ti sei fatta male, vero?”.
    “No, son tutta intera. Grazie” e si mise a ridere.
    Il giovane tirò un sospiro di sollievo e rise, sedendosi accanto a lei.
    “Mamma che spavento...certo che se lei avesse sbagliato mira, adesso...”.
    “Hey, niente formalismi, mi fai sentire vecchio se continui col darmi del lei!”.
    “Scusa” e Nim abbassò lo sguardo, a fissare le scarpe.
    “No, scusa te. A volte sono un po’ brusco. E’ che ho preso un bello spavento! Su, non è colpa tua” e le mise un braccio intorno alle spalle, stringendola affettuosamente.
    Marek si accorse che era di corporatura minuta, e quando Nim lo guardò e gli sorrise dolcemente, pensò “sì, è proprio carina”.
    La luce calda della torcia, la buia notte illuminata dalla luna, loro due soli nella rimessa, abbracciati.
    Nim abbassò gli occhi e si allontanò dall’abbraccio. Marek si rese conto che forse era stato troppo espansivo, e cercò un argomento per colmare il silenzio.
    “E così...sei spagnola”.
    “No, italiana”.
    “Non sei spagnola? Pensavo lo fossi, ho visto che ti capisci bene con Mari e Gas”.
    “Ho studiato lo spagnolo a scuola, anche se non al livello che servirebbe qui! Ma il professor Rigual e Cindy hanno insistito tanto…”.
    “Ah, quando Cindy ci si mette, sa essere veramente stressante! Ma non farci caso, ignorala, o prendila in giro come faccio io, hehehehe!”.
    Risero entrambi.
    “Allora…che cosa ci facevi lì fuori?” chiese Marek.
    “A parte prendermi una freccia infuocata in fronte? Beh, stavo cercando il mio cellulare”.
    “L’hai perso qui? Sei sicura?”.
    “Sì, l’ho trovato giusto un attimo prima che la freccia beccasse il bersaglio, e non me”.
    Marek si fece serio.
    “Ma sei ancora arrabbiata con me?”.
    “Perché dovrei essere arrabbiata con te?”. Nim sembrava sorpresa.
    “Non so, continui a rinfacciarmi la storia della freccia! Ti ho chiesto scusa!”.
    La ragazza si mise a ridere.
    “No, no! Scusa, non volevo. Forse il mio inglese non è così buono, non volevo essere brusca”.
    “Allora abbiamo qualcosa in comune” disse Marek, fissandola.
    Nim abbassò di nuovo lo sguardo.
    “Va bene, è ora di tornare. Andiamo, per stasera ho fatto abbastanza danni”.
    Sistemarono la rimessa, misero nella sacca arco e frecce, e uscirono dal castello.
    Nel frattempo Marek aveva scoperto che Nim non era silenziosa, anzi. Una volta presa confidenza si era lasciata andare, e sembrava essere una ragazza simpatica.
    Lui le aveva raccontato un po’ di Mari e Gas e dell’incidente del professor Rigual, lei della valigia ancora da disfare e di un enorme sacco di biscotti al suo interno.
    “Così sei cellulare-dipendente?” chiese Marek, mentre la ragazza toglieva il lucchetto alla bici.
    “Non l’ho mai detto! Solo che se non chiamavo i miei genitori, si sarebbero preoccupati…oh no! Non li ho ancora chiamati! Reggimi la bici!”.
    La telefonata durò qualche minuto, nel quale Nim sembrava prima remissiva e poi quasi arrabbiata.
    Infine salutò in tono dolce e, una volta messo il cellulare in tasca, fece un profondo sbuffo.
    “Genitori…” fu il suo commento, mentre tentava di riprendersi la bici.
    “No, lascia stare, la porto io!”
    “No, no, è presa in prestito, se si buca una ruota almeno la colpa è mia”.
    “Allora lascia che io sia cavaliere e che ti salvi da quel triste destino!”.
    “Un cavaliere a bordo di una bicicletta? Non sono esperta del medioevo, ma non mi pare sia molto cavalleresco”.
    “Beh, in effetti…”; poi si voltò verso di lei, e le chiese: “Ti interessa la storia? Voglio dire, ci sarà un motivo se hai preferito un castello ad uno zoo”.
    “Fin da piccola ho sempre avuto la passione per le fiabe, e i castelli medievali mi sembravano usciti da quel magico mondo. Le dame ambite da impavidi cavalieri che si sfidano per il loro amore. E poi mi piacciono molto le armi dell’epoca: spade, balestre, il tuo arco, hehehehe! Si, lo so, mia madre lo dice sempre: non è molto femminile…”.
    “Io lo trovo molto interessante”
    “Anch’io! Mi piacerebbe tantissimo poter tirare con l’arco! Sai, a casa ne ho uno giocattolo, ma non è la stessa cosa. Magari un giorno mi fai provare il tuo? Sempre se non ti dispiace”.
    Marek annuì, e vide che Nim sorrideva emozionata.
    Era questo che lui trovava interessante, una ragazza con una vera passione per le stesse cose che Cindy definiva ‘stupiditè’.
    Anche Mari aveva provato interesse nel giostrare a cavallo, o tirare di spada. Mari era esperta di storia medievale, in particolare delle tecniche culinarie dell’epoca. Ma Mari l’aveva rifiutato.
    “Marek, rallenta” disse tra sé, mentre nel frattempo avevano raggiunto la locanda.
    Nim cercò la signora Agnes, la padrona di casa, per restituirle la bici. La signora stava per andare a dormire, e indossava una vestaglia piena di fiorellini. Nel tentativo di nascondersi alla vista di Marek inciampò nel tappeto della reception, finendo a gambe all’aria.
    I due l’aiutarono ad alzarsi, e poi scapparono subito su per le scale, non riuscendo a trattenere le risate.
    “Povera signora Agnes!” commentò Marek, una volta finito di ridere.
    Erano arrivati davanti alla porta della ragazza, e Nim stava armeggiando con le chiavi.
    “Senti…vuoi entrare? Non pensar male, però!”
    “Chi? Io? Se lo pensi, vuol dire che sei tu quella con idee strane!”.
    Nim arrossì e si mise a picchiare il giovane.
    “Dai, seriamente. Ho i biscotti al cioccolato che ti dicevo. Ma se non li vuoi…”.
    Marek la fissò per qualche secondo ed entrò nella stanza. La valigia era accanto al letto di una piazza e mezzo ancora in ordine. La signora Agnes le aveva lasciato le regole della locanda, scritte in un perfetto francese su di un piccolo foglietto appoggiato sul cuscino.
    Un peluche stava sorridendo a Marek dal comodino.
    “E questo chi è?” chiese, dopo essersi seduto sul letto.
    “Quella è Colette, la mia mucca. Trattala bene, eh!” lo ammonì Nim, che stava armeggiando con la valigia, alla ricerca dei biscotti.
    “Dopotutto è ancora una bambina” pensò tra sé Andre, giocherellando con le zampe della povera Colette.
    Nim gli porse il sacchetto dei biscotti e si sedette accanto a lui. Ogni tanto le mani si sfioravano nel sacchetto, ma la ragazza era svelta e ne usciva subito facendo finta di niente.
    Andre sarebbe rimasto a chiacchierare per tutta la notte. Erano mesi che non parlava con qualcuno che lo capisse, a parte il professor Rigual. Ma vedeva che la ragazza cercava di trattenere gli sbadigli, e decise che era ora di lasciarla da sola.
    “Beh…ora vado a dormire. Grazie ancora per i biscotti! Notte Colette!” e diede un bacio alla mucca, prima di avviarsi verso la porta.
    Nim lo seguì, alzandosi di scatto, e Marek vide che si mordeva il labbro superiore della bocca.
    “Allora buonanotte!”.
    “A-aspetta…Colette andrà avanti tutta la notte a vantarsi del bacio della buonanotte. Non posso esser da meno di una mucca, quindi…” e si alzò sulle punte dei piedi, dando un leggero bacio sulla guancia a Marek.
    La ragazza era diventata completamente rossa, e stava per chiudere la porta dopo un timido ‘buonanotte’, quando Marek bloccò la porta.
    “Eh no, non va bene”.
    “Come scusa?”. La faccia di Nim era una via di mezzo tra il preoccupato e l’imbarazzato.
    “Io ho dato il bacio a Colette, quindi per evitare che si vanti per tutta la notte con te…” e si chinò verso il volto di lei, e la baciò sulle labbra.
    Furono solo pochi secondi, un leggero bacio, ma aveva sentito il respiro di Nim fermarsi.
    “Buonanotte” disse Marek, sorridendole e salendo le scale verso la sua stanza.




    Capitolo 2

    Diario
    Ieri sono arrivata a Murol, e mi son sistemata in una piccola locanda, vicina al castello.
    Le cose non sono andate esattamente come le avevo immaginate. Prima quell’isterica di Cindy, che avrebbe dovuto essere una specie di guida per me, ma che non ha fatto altro che complicarmi le cose. Poi il professor Rigual e la sua testa rotta, i due spagnoli Mari e Gaspar, la signora Agnes e…e…Marek…
    “Come hai detto che si chiama?”.
    “Marek. Andre Marek.”.
    Nim sorrise, mentre andava avanti indietro per la piccola stanza, il cellulare premuto sull’orecchio.
    “E ti ha baciata così, senza preavviso?”.
    “Miki, non è che se uno ti deve baciare magari prima ti avvisa eh…”.
    La sorella dall’altra parte del telefono sbuffò.
    “Volevo dire che mi sembra incredibile. Arrivi lì, incontri un uomo e quello la sera stessa ti stampa un bacio sulla bocca! Ma almeno è figo?”.
    Nim si lasciò cadere sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto. Ripensò a quell’uomo alto e forte, la voce bassa e penetrante, gli occhi del colore del mare…
    “Perfetto” fu la risposta della ragazza, dopo un lungo sospiro.
    “Yuhuu! Beh, allora divertiti! E fa tante foto!” disse ridendo la sorella.

    La locanda della signora Agnes non era molto grande, ma la piccola sala vicino all’ingresso era abbastanza spaziosa da fungere sia da ristorante che da salotto, e a quell’ora, le otto del mattino, veniva servita la colazione.
    Nim salutò Mari e Gaspar, che ora si stavano servendo delle calde brioche appena fatte.
    Un attimo prima di entrare i battiti del cuore erano aumentati, e non riusciva a togliere quel sorriso stupido dalla faccia. Ma era rimasta un po’ delusa appena passata la porta: lui non c’era…
    Si sedette, e si versò il caffè nella tazza. L’aroma e il calore della bevanda le tirarono su il morale e si mise a chiacchierare con i due ragazzi.
    “Esta mañana he sentido Marek hablar al telefono, y no me sembrava muy feliz.”.
    Nim alzò subito gli occhi dalla brioche piena di zabaione.
    “Come mai?” chiese.
    Mari alzò le spalle.
    “No lo se. Pero da su tono de voz me sembrava muy arrabbiato. No hemos visto mai Andre arrabbiato, verdad Gas?”.
    Il ragazzo stava masticando con gusto la sua brioche, e sentendosi chiamare per poco non soffocò, sputacchiando zucchero a velo e briciole ovunque.
    Nim stava ridendo di gusto, quando sentì una mano sulla spalla. Si girò e per un momento le mancò il fiato.
    “Buongiorno ragazzi. Vedo che siete allegri stamattina. Beati voi…”.
    Marek si sedette accanto a lei, e iniziò a servirsi la colazione.
    Indossava una felpa bianca, con il cappuccio e delle grandi scritte sulle maniche, e un paio di jeans logori all’altezza delle ginocchia. Indossava gli stessi scarponcini di ieri, ancora coperti di fango ed erba.
    Sebbene fosse estate, l’aria mattutina era frizzante, e Nim se n’era accorta al risveglio, ritrovandosi il naso congelato.
    Oltre alla t-shirt nera con un disegno di gattini e i comodi jeans, aveva indossato un giubbino nero di cotone. La colazione l’aveva un po’ riscaldata, ma ora la presenza dell’uomo accanto a lei le stava facendo venir voglia di togliersi il giubbino.
    “Scusa, mi puoi passare la marmellata?”.
    Marek indicava con la mano sinistra il vasetto all’altro capo della tavola, mentre con la destra era intento a versarsi un’abbondante quantità di caffè tiepido nella tazza.
    Nim stava fissando i suoi capelli scuri, i riccioli che ricadevano lungo il collo senza un ordine preciso, per poi risalire verso la barba incolta che gli incorniciava la bocca, il suo naso, verso i suoi bellissimi occhi…che ora la stavano fissando, le sopracciglia alzate in un’espressione interrogativa.
    “Come? Ah, la marmellata? Certo, subito” e allungò il braccio verso il vasetto.
    Sentiva che la mano le tremava, ma trattenendo il respiro riuscì a porgere la confettura senza rovesciare tutto.
    Marek si avvicinò con il coltello, e Nim si sentì venir meno.
    Tener sollevato il vasetto era un incubo per lei, e già il contenitore aveva inziato ad ondeggiare sotto l’effetto del tremolio della mano.
    Le accadeva tutte le volte che era sotto pressione.
    Per esempio, davanti alla macchina del caffè dell’università.
    Sapeva di essere osservata dalle persone in coda dietro di lei, e la mano che toglieva il bicchiere pieno della bevanda bollente tremava in modo terrificante. Ogni volta era costretta ad usare l’altra mano, per evitare di versar tutto per terra.
    Marek se ne accorse e dopo aver intinto un paio di volte il coltello, ringraziò e si mise a mangiare la brioche, osservando la mano di Nim, che appoggiò il vasetto sempre tremando, facendo cadere più di una volta il tappo.
    La ragazza si guardò intorno, e vide che Mari era in piedi, mentre Gas le passava i piatti e le tazze da loro usati. Poi i due sparirono verso la cucina della signora Agnes.
    Ma girandosi verso Marek, vide che lui la stava osservando.
    Nim sorrise di un sorriso forzato, e tornò a bere la sua tazza di caffè. A due mani, naturalmente.
    “Ti fa male la mano?” chiese, bevendo anche lui qualche sorso.
    “Eh? Ah, sì…non so perché, ogni tanto mi prende questo tremore” e rise nervosamente.
    Marek appoggiò la tazza e si girò con la sedia verso di lei, chinandosi verso le sue mani.
    “Fa vedere”.
    “Come?!”.
    Lui le prese la mano destra e iniziò a massaggiarla.
    Le sue dita erano grandi e un po’ screpolate alle estremità, probabilmente per colpa del suo lavoro.
    Aveva mani grandi, e la mano di Nim era così piccola da sembrare quella di una bambina.
    Il pollice destro di lui percorreva il palmo destro di lei, mentre con la mano sinistra le teneva stretto il polso.
    “A volte succede anche a me, quando mi alleno troppo con l’arco. Basta fare pressione qui e qui per qualche minuto”.
    “Ok” fu la sola cosa che le uscì di bocca, mentre lui si accostava di più con la sedia, aprendo le gambe per accogliere quelle di lei e starle seduto più vicino.
    Nim cercava di trattenere il respiro per evitare di tremare.
    Il volto di Marek era a pochi centimetri, e lei aveva paura potesse sentire il battito del cuore che le saltava impazzito nel petto. Ma lui sembrava concentrato sui massaggi.
    Un ricciolo gli scivolò davanti agli occhi, ma invece di usare le mani, occupate a massaggiare, preferì soffiare verso l’alto, storcendo la bocca. Il ricciolo però non voleva saperne di tornare al suo posto, e Marek continuava a soffiare.
    Nim cercava di trattenere una risata, mordendosi le labbra.
    Con la mano sinistra prese il ciuffo di capelli e lo spostò, cercando di sistemarlo dietro il suo orecchio.
    Lui alzò lo sguardo e rimase a fissarla. Sentiva la piccola mano tra i capelli, e un brivido gli corse lungo la schiena.
    Marek poteva sentire il profumo di lei, un dolce profumo di vaniglia, e la mano che stava massaggiando era soffice e delicata.
    La ragazza s’accorse che la stava fissando e si fermò.
    “Scusa, continuava a scivolarti davanti agli occhi…” e fece per abbassare la mano.
    Lui però la fermò, e se la premette contro il viso.
    Nim dimenticò per un attimo la timidezza e accarezzò la pelle abbronzata.
    La barba le solleticava il palmo, e sorrise, mentre Marek aveva chiuso gli occhi.
    Passò il pollice sulle labbra di lui, e lentamente vi scivolò sopra. Erano calde e morbide, e il ricordo del bacio della scorsa notte le fece venire la gola secca. Come avrebbe voluto baciarlo…
    Lui riaprì gli occhi e baciò il piccolo pollice che aveva accarezzato le sue labbra. Vide che Nim era leggermente arrossita, ma il suo sguardo non era più impaurito. Anzi, lo stava guardando direttamente negli occhi. Si accorse che erano di color nocciola, e il suo sguardo era tenero e dolce, come quello di un cucciolo. In quel momento lei si succhiò il labbro inferiore, lasciando poi la bocca leggermente aperta.
    Marek fissò le labbra, ora umide, e sentì uno strano calore salirgli lungo la schiena.
    Il suo corpo ora si muoveva verso quello di lei, gli occhi sempre fissi sulla bocca.
    Nim era come paralizzata, il respiro ormai incontrollabile. Sentiva il calore di Marek sul suo volto e chiuse gli occhi. Il naso di lui le sfiorò la pelle, salendo dalle guance verso gli occhi.
    Sentì le sue labbra calde che le baciavano la palpebra.
    Marek vide che si ritraeva leggermente, sorridendo. Era così dolce che avrebbe voluto stringerla forte a sé, sentire il suo piccolo corpo contro il suo, accarezzare e baciare ogni centimetro della sua pelle…
    Ma questo pensiero lo riportò alla realtà. Cosa stava facendo?
    Non la conosceva che da meno di ventiquattro ore e già voleva portarla a letto?!
    Si sentì una bestia di fronte alla dolce creatura che aveva di fronte a sé.
    Nim era appena arrivata, era spaesata e timida, e lui che doveva farle da guida e sostegno, stava approfittando di lei. Aveva i suoi bisogni da soddisfare, era naturale. Ma comportarsi a quella maniera era veramente poco cavalleresco da parte sua.
    Appoggiò la fronte a quella di lei, pensando ad un modo di uscire da quella situazione.
    “Nim…” disse, la voce roca, pronto a farle le sue scuse. Ma le labbra di lei stavano ora accarezzandogli le palpebre, lasciando teneri baci sulla pelle.
    “Nim…” sussurrò, le parole che gli morivano in bocca, mentre lei gli baciava dolcemente le guance e il naso.
    Fu un attimo. Sentì le labbra di lei sulle sue, soffici e leggere.
    Nim gli diede un piccolo bacio, e si allontanò di qualche centimetro, in attesa della reazione di lui.
    Le era sembrato che Marek non volesse continuare, ed ebbe paura di aver sbagliato qualcosa.
    Passavano i secondi, e la forza che le era cresciuta dentro la stava abbandonando per far posto alla vergogna.
    Voleva alzarsi e scappare via da quella stanza, scappare via da lui, da quegli occhi che ora la fissavano così seriamente.
    “Marek, io…” ma le parole vennero soffocate.
    Lui si avvicinò all’improvviso e sentì le sue labbra premerle con forza sulla bocca.
    Lei sospirò, e lui la baciò appassionatamente, succhiandole il labbro inferiore.
    Il suo bacio aveva il sapore di marmellata d’albicocca, dolce e caldo, e la barba che le solleticava il volto la faceva tremare.
    Mentre baciava le sue labbra morbide, sentì la bocca aprirsi e le loro lingue s’incontrarono.
    Nim prese il volto di Marek tra le mani, e sentì che lui le stringeva la vita con le sue mani forti, cercando di attirarla a sé.
    Ma attirò a sé anche la tovaglia, che scivolò sul pavimento, portandosi dietro tutta la colazione.
    Il tonfo fu assordante, e i due si staccarono di colpo, impietriti.
    Dopo essersi fissati per qualche secondo, si alzarono in piedi e videro che la signora Agnes accorreva preoccupata, seguita da Mari e Gas.
    La padrona di casa era senza parole, mentre fissava la marmellata sparsa sul pavimento e il suo bel servizio da colazione distrutto in mille pezzi.
    “Mi scusi signora Agnes. Ecco, vede, noi…cioè io…insomma, volevo dire..”.
    Marek non riusciva a trovare una scusa decente, e continuava a grattarsi la testa nervosamente.
    “E’…è stata colpa mia!” urlò Nim.
    “Davvero?” chiese stupito Marek, guardandola.
    “Sì. Mi stavo alzando e…ehm, non mi sono accorta che prima mi ero infilata la tovaglia nei pantaloni”.
    “La tovaglia…nei pantaloni?!” chiese la signora Agnes, ora più sconcertata che arrabbiata.
    “Non trovavo i tovaglioli, e non volevo sporcarmi i pantaloni da marmellata. Ma mi son dimenticata d’averla nei pantaloni, la tovaglia, non la marmellata! Hehehehe! E così quando mi son alzata…patatrac!”. Rise nervosamente, seguita da Marek, che però ora stava ridendo sul serio, ma sotto i baffi.
    La signora Agnes sembrò aver capito, ma per risposta li cacciò tutti dalla sala, sbattendogli le porte in faccia.
    Mari e Gas non smettevano più di ridere, e scapparono su per le scale, inseguiti da Marek che tentava di tirargli calci nel sedere.
    Nim salì le scale, la mente completamente vuota.
    Non si accorse nemmeno di essere entrata nella sua stanza, e ora se ne stava seduta a fissare il muro.
    Aveva bisogno di raccogliere le idee, rendersi conto se quello che era appena successo di sotto fosse realmente successo.
    S’erano baciati…l’aveva baciata, Marek l’aveva baciata…di nuovo!
    Ma stavolta era un bacio vero, lui l’aveva stretta a sé, aveva sentito il suo calore, il suo respiro, le sue labbra, la sua lingua…
    Si alzò in piedi, le mani davanti alla bocca per coprire un sorriso che non voleva andarsene, e iniziò a saltellare per la stanza.
    Girandosi verso la porta, vide che Marek la stava guardando, sorridendo.
    Nim si fermò, come congelata, e smise di ridere.
    Divenne rossa come un peperone e si lanciò verso il letto, raggomitolandosi e coprendosi il volto con il cuscino.
    “Che figura, che figura…” pensava, sperando lui se ne andasse.
    Ma sentì il materasso abbassarsi proprio accanto a lei: non solo era entrato in camera, ma si era pure seduto sul letto!
    “Vai via!” gli urlò da sotto il cuscino.
    “Perché?” chiese Marek, cercando di trattenere le risate.
    “Perché…di sì!”.
    “Mi vuoi davvero mandare via?”.
    “Sì! Vattene via!”.
    “Se è così…” e iniziò a farle il solletico alla pancia.
    Nim si dimenò, cercando di sottrarsi alle mani di Marek, ma lui continuava divertito, fino a che, inavvertitamente, lei non gli tirò una ginocchiata sul fianco.
    “Oh, scusa! Ti ho fatto male?” chiese la ragazza, preoccupata, togliendosi il cuscino dalla testa e avvicinandosi al giovane, che se ne stava piegato su se stesso.
    Gli mise un braccio intorno alle spalle, sentiva dei lamenti, ma non si stava lamentando dal dolore…stava ridendo!
    “Brutto deficiente”, gli urlò Nim, tirandogli un ceffone scherzoso sulla testa, “credevo di averti fatto male!”.
    Lui le accarezzò la testa dolcemente, e lasciò scivolare la mano lungo la schiena, fermandosi ai fianchi della ragazza.
    “Senti, per quello che è successo di sotto…”.
    “Sì, ehm, senti…io non volevo…beh, ecco, pensandoci bene lo volevo eccome, ma…oddio…” Nim si coprì il viso con le mani.
    “Volevi rovesciare la tovaglia? Sul serio?”.
    La ragazza alzò lo sguardo e fissò Marek.
    “Ah…la tovaglia…per quello che è successo di sotto intendevi dire della tovaglia…”
    “Perché tu di cosa volevi parlare?” le chiese, sorridendo maliziosamente.
    “Ehm, della tovaglia, ovvio”.
    “Ah, davvero? Pensavo parlassi del bacio” disse, fissandola con occhi seri.
    Nim s’aspettava che l’avrebbe stretta di nuovo a sé, e rimase in attesa.
    Ma lui le prese semplicemente la mano e sorrise.
    “Vorrei scusarmi, prima di tutto. Non avrei dovuto comportarmi così. Di solito non sono così, come dire, frettoloso nei rapporti con le donne. Ma avevi un sorriso così dolce, mi guardavi con quegli occhi, e poi quel profumo di vaniglia…”
    “Scusa…”
    “E di cosa ti scusi? La colpa è mia, non ho saputo fermarmi. Per dirla tutta, avevo pure tentato di fermarmi, ma tu hai iniziato a baciarmi così dolcemente, che, beh…ecco…”.
    Marek rise nervoso, non riuscendo a finire la frase.
    Nim si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. Aveva gli occhi lucidi, era rimasta davvero colpita dalle sue parole.
    “Io invece avevo paura che pensassi male di me”.
    “Perché mai avrei dovuto farlo?”.
    “Beh, ti sarò sembrata una facile. Ieri sera con il bacio della buonanotte, poi stamattina a colazione. Io non sono così coraggiosa, non mi era mai successo. E’ solo che tu…”.
    “Sono un uomo così affascinante che nessuna donna sa resistermi?” scherzò Marek.
    Lei annuì con la testa, guardandolo ad occhi bassi e mordendosi le labbra.
    “Vieni qui, piccola Nim” e l’abbracciò, tenendola stretta a sé.
    Poi sorridendole, la baciò dolcemente. Sarebbe rimasto lì per sempre, e piano piano il bacio stava diventando meno dolce, ma più appassionato.
    Se ne accorse, e stavolta la forza di volontà lo frenò.
    Si allontanò dal volto di Nim, e prese un bel respiro. Doveva controllarsi, cercare di dar tempo al tempo, prendere le cose con calma. Anche se il letto sul quale erano seduti non aiutava molto le cose. Cercò quindi di togliersi da quella situazione.
    “Scusa…ancora. E’ che segregato in questo paesino francese…aspetta, non voglio dire che non mi piaccia, anzi. E’ un bel paese. Solo che non ho avuto modo di sfogare certi ist…ehm, impegni che ero abituato a sf…svolgere, uh, quando…ecco..” ma non riuscendo a trovare le parole, si lasciò cadere disteso sul letto.
    Chiuse gli occhi e iniziò a ridere.
    “Cosa c’è?” chiese Nim.
    “Rido perché sono un idiota. E’ inutile che cerchi di giustificare il fatto che ho bisogno di una donna. Sono un povero maschio sessualmente bisognoso, e te, mia povera Nim, sei caduta vittima dei miei istinti”.
    Si mise sul fianco, la testa appoggiata alla mano.
    “Non c’è che dire, sei stato molto chiaro” disse la ragazza, buttandosi sul fianco come lui.
    “E quindi?”.
    “Beh, se soltanto vederti mi provoca un piacere immenso e i tuoi baci mi mandano fuori di testa, non immagino cosa potrebbe succedere se andassimo oltre. Anch’io ho certi istinti e bisogni e credo che…sì, insomma, visto che ormai siamo sulla buona strada…”.
    Marek sollevò le sopracciglia, colpito dalla sincerità della ragazza, sebbene vedesse che parlare di queste cose in maniera esplicita le costava fatica.
    Si avvicinò, le cinse la vita con il braccio e la baciò sulla fronte, mentre lei si stringeva forte al petto di lui. Si sentiva rilassata e tranquilla tra le sue braccia.
    “Voglio che tu faccia solo quello che ti senti di fare, non quello che io voglio fare” le sussurrò.
    “Allora si prepari, perché quello che voglio potrebbe coincidere con i suoi desideri, professor Marek”.
    “Hohohoho!” rise il giovane, facendole di nuovo il solletico.
    Nim non riusciva a smettere di contorcersi, la pancia le faceva male dalle risate.
    “Smettila, ti prego! Basta, mi sentiranno tutti!”.
    Marek si fermò, le accarezzò le guance, le prese il mento tra le dita e avvicinò il volto di lei al suo.
    La baciò, ma stavolta Nim sentì che era un bacio diverso, che avrebbe portato a qualcos’altro.
    Lui si spostò lentamente sopra di lei, sostenendo il suo peso con le braccia per evitare di farle male.
    Ma Nim lo tirò a sé, mettendo le mani dentro le tasche posteriori dei suoi jeans.
    Ora sentiva tutto il suo corpo premere sul suo, sentiva i suoi muscoli, il suo calore, il suo…
    Nim si fermò sconvolta.
    Sentiva premere sulla gamba qualcosa di duro, ma quel qualcosa…stava vibrando?!
    “Porc, il cellulare!” borbottò Marek, alzandosi di colpo, e tirando fuori dalla tasca destra il telefonino.
    Si allontanò dalla stanza, mentre Nim cercava di trattenere le lacrime dal ridere.
    Poi però divenne seria, sentendo che Marek litigava con chi lo aveva chiamato.
    Dopo qualche minuto fu di ritorno. Si sedette sul letto, ma ormai tutta la magia era svanita. Una nuvola era calata sul suo volto. Rimase per qualche secondo in silenzio, con gli occhi chiusi.
    Poi trasse un profondo respiro e si girò verso di lei.
    “Erano quelli dei Beni Culturali. Avevano già chiamato stamattina per avvisarmi che molto probabilmente avrebbero sospeso le mie lezioni al castello”.
    “Sospese? E perché?”
    “Hanno pensato che, essendoci la possibilità di altri incidenti, avrebbero dovuto sborsare altri soldi. E siccome devono già pagare tutto quello che faccio qui, hanno pensato bene di cancellare tutto.
    Sai come han chiuso la questione? Prevenire e meglio che curare, con quello stupido accento francese!”. Concluse il discorso con qualche colorita espressione, alzandosi in piedi e camminando verso l’altro lato della stanza, dandole le spalle.
    Nim non sapeva proprio cosa dire. Sebbene non avesse visto molto delle attività di studio e ricerca al castello, vedeva che lui ci teneva veramente tanto.
    Quindi ora, venendo a mancare il lavoro a Murol, Marek sarebbe dovuto tornare negli Stati Uniti. E lei…
    “Ma…io adesso che faccio?”
    Marek si girò, andò verso di lei e si sedette sul letto.
    “Quella di cui ti ho parlato è stata la telefonata di stamattina. Un attimo fa invece ero al telefono con la tua università. E’ stata avvisata della sospensione dei lavori”.
    “E quindi?”
    Si girò verso di lei, con un sorriso amaro sulle labbra.
    “Devi tornare a casa”.


    ©Nim
     
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    Mai completata, purtroppo.

    Peccato! Si legge volentieri, e finisce sul più bello... Un po' troppo Marek&Nim e Nim&Marek, a dirla tutta, ma si prospettavano interessanti sviluppi. Comunque sull'onda di questa fanfiction sono andata a vedermi il film, e beh: niente male davvero, forse uno dei più ben fatti che abbia mai visto in tema di viaggi nel tempo :ca4xy3ar4cp2.gif:
     
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  3. Nim
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    Il film non è malaccio, anche se è un po' ingenuo :)
    Il libro è leggermente meglio, anche se pure quello è scritto in maniera molto infantile (mia opinione, forse è colpa della traduzione).
     
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2 replies since 13/8/2011, 14:13   47 views
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