Dagger ~ 'cause insane minds think alike


Consequences of actionparte prima

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    Fodero Adepto
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    Questa fanfiction parte esattamente da qui: non ho fatto altro che prendere in prestito storia e personaggi e questo è ciò che ne è uscito. Ho iniziato a lavorarci secoli fa, da fine 2010 per l'appunto, con l'intenzione di pubblicarla una volta finita. Il problema è che la traccia-guida si fa sempre più lunga e intricata, e ogni volta che riapro il file word, invece di andare avanti, mi ritrovo a correggere e ampliare quanto già scritto, senza contare che ormai è il 2012, quindi...ora o mai più! Pensavo di postarla sul forum "d'origine" prima o poi, ma per intanto ve la metto qui in anteprima mondiale:
    -----------------

    >> Sherwood Forest <<

    Sulla strada per Nottingham avanzava lentamente un grosso carro, con il piano di carico coperto da un telo scuro. Forse innervosito dall'opprimente immobilità della foresta, il conducente prese a frustare i cavalli, colpevoli di aver rallentato il passo a causa di un dosso.
    - Forza, sfaticati! HURRY!!!!! - li incitò continuando a colpirli con rabbia quasi isterica.
    Le bestie si affannavano a testa bassa, spingendo contro il pettorale, con le tirelle tese allo spasimo e i larghi zoccoli che pattinavano nel morbido terriccio. Alla fine ebbero ragione del modesto ostacolo, e con un ultimo sobbalzo il pesante veicolo passò oltre.
    I due soldati che sedevano a cassetta al suo fianco si guardavano intorno nervosamente. Avevano entrambi un arco in dotazione: lo tenevano in grembo, ma con la freccia già incoccata.
    - Dannazione a quel maledetto spilorcio: – si sfogò l'uomo, gettando la frusta ai suoi piedi – l'avevo detto io che ci volevano due carri!
    - E io avevo detto che in tre non avremmo avuto speranza di passare indenni la foresta di Sherwood...ma per ora il carro non si è ribaltato, e di Robin Hood ancora nessuna traccia: sembra che nessuno di noi abbia un futuro come indovino – commentò uno.
    - Sta' allegro, amico: saremo a Nottingham prima del buio – aggiunse l'altro.
    - Già, quindi potreste anche lasciar perdere gli archi e rilassarvi – sogghignò il carrettiere.
    - Fa' il tuo lavoro, che noi facciamo il nostro – lo rimbeccò il primo, seccato, aggiustando l'impugnatura sull'arma. A dirla tutta, era da un po' che aveva le mani fastidiosamente sudate, e non vedeva l'ora di essere fuori da quella bisbigliante penombra.
    L'altro si limitò a scuotere le spalle senza smettere di scrutare con apprensione il sottobosco: gli sembrava di aver visto delle ombre muoversi tra le fronde, al limite del campo visivo.
    Dopo la breve salita, il carro, inclinandosi e scricchiolando paurosamente, si avviò giù per la discesa successiva. Il carrettiere, impegnato a mettere il freno, non si accorse del corpo a terra di traverso alla strada, a pochi metri di distanza, finché uno dei due militi non gli sferrò una gomitata indicandoglielo:
    - Attento, c'è qualcosa lì!

    >> Nottingham Castle <<

    Si incamminò nella direzione opposta, sovrappensiero, e si accorse solo vagamente di Allan che passava proprio in quel momento. Quello rallentò incerto se fermarsi o meno, poi gli indirizzò un cenno e fece per proseguire sulla scia di Faith. In quell'attimo Gisborne realizzò che il ragazzo capitava a proposito. Aveva il mezzo e l'opportunità per dissipare almeno in parte l'alone di mistero che circondava la loro affascinante ospite, e sarebbe stato da sciocchi non approfittarne.
    Non è niente di personale – tentò di convincersi mentre prendeva la decisione di servirsi di Allan a quello scopo – è il mio lavoro: è nell'interesse dello sceriffo sapere cosa pensa Lady Nim...
    Allargò il braccio a sbarrargli il passo e gli chiese, secco:
    - Cosa stai facendo?
    - Eseguo gli ordini, come sempre – rispose quello baldanzoso.
    - Certo, ammirevole – commentò Guy critico.
    Accompagnò l'ironico apprezzamento con un'occhiata significativa alla ragazza che nel frattempo era giunta in fondo al corridoio, per poi sparire alla vista imboccando una scala. Notò con piacere la smorfia di disappunto che Allan non era riuscito a nascondere. Aveva tirato a caso ma evidentemente aveva fatto centro. Buono a sapersi: un'informazione come quella poteva sempre venir bene...
    - Spiacente di distoglierti dal tuo corteggiamento.. - proseguì ignorando a bella posta l'evidente impazienza dell'interlocutore.
    - Il mio cosa?
    - ...ma ho un incarico per te..
    - ...che sarò più che felice di portare a termine non appena sarò libero da altri impegni, quindi se vuoi scusarmi.. - azzardò Allan tentando di aggirarlo.
    - No, un incarico di cui ti occuperai ORA – insistette Gisborne minaccioso fronteggiando il suo riluttante scudiero.
    - E va bene, come non detto; lo sai che puoi sempre contare su di me – si arrese quello.
    Guy sbuffò scettico. Certo, come no...finchè si tratta di chiacchierare! - sospirò sconfortato tra sè e sè.
    - Allora, di che si tratta? - chiese Allan con servizievole zelo, esibendosi in un sorprendente quanto repentino cambio di atteggiamento.
    - Perquisisci l'alloggio della tua bella..
    Qui Gisborne si accorse che il sottoposto stava per intervenire nuovamente, quindi lo dissuase con un'occhiata inceneritrice, e potè continuare senza interruzioni:
    - Devi cercare una lettera che tiene lì nascosta da qualche parte: trovala e portamela. Fruga tutta la stanza se necessario...hai tutto il tempo che ti serve, l'abbigliamento femminile tende ad essere una faccenda lunga e laboriosa.
    - E da quando ti interessi della posta di una sguattera?

    Gisborne si sentiva già abbastanza in colpa all'idea sbirciare come un ladro la corrispondenza privata di Lady Nim, senza che ci si mettesse quella feccia a ricordargli quanto in basso si stesse spingendo, per cui esplose in un furioso:
    - Fallo e basta!
    - Ok, ok, non ti scaldare, era solo per chiedere
    – si affrettò a ritrattare l'altro, alzando le mani e allontanandosi, presumibilmente per assolvere al suo compito.
    Forse.
    Una manciata di secondi più tardi, il corridoio, così trafficato in quei giorni, era deserto.

    >> Sherwood Forest <<

    Ci siamo – si disse Will sollevato. Aveva trattenuto il fiato inconsapevolmente fino a quel momento, temendo che qualcosa potesse andare storto. Per fortuna la parte del piano che più l'aveva messo in ansia aveva funzionato alla perfezione. In realtà il difficile doveva ancora venire, ma lui era sempre freddo e lucido quando si trattava di agire in prima persona.
    - Whoa! - gridò il carrettiere strattonando disperatamente le redini.
    I due animali si fermarono a fatica, lottando contro il peso del veicolo sovraccarico: i muscoli delle spalle possenti guizzarono e si tesero sotto sforzo. Il carrettiere azionò finalmente il freno, balzò a terra e si affrettò ad assicurare il carro bloccando le ruote con alcune grosse pietre, quindi si portò alla testa dei cavalli, brontolando tra sé:
    - Ci mancava solo questa...dannata gente che non guarda dove va..
    Intanto gli armigeri erano scesi per andare a vedere. Il primo appoggiò due dita sul collo di Djaq, riversa prona:
    - Ancora vivo – constatò.
    - Ehi, è una donna! - osservò il secondo rigirandola su un fianco.
    Will si era alzato da terra e si stava rapidamente avvicinando al carro, tallonato da Little John. Era così intento a muoversi evitando anche il minimo fruscio che sentiva senza ascoltare il dialogo che si svolgeva poco più in là.
    Djaq si riscosse, aprì gli occhi e chiese, fingendosi disorientata:
    - Dove sono?
    - Tranquilla, sei al sicuro adesso – la rassicurò uno aiutandola a mettersi seduta.
    - Cosa è accaduto? - la interrogò il compagno.
    I due fuorilegge avevano finalmente raggiunto il carrettiere, che continuava a lamentarsi del contrattempo: Will, con una sola, fluida mossa, lo bloccò da dietro passandogli una mano sulla bocca. Lo sentì irrigidirsi contro il proprio corpo, ma prima che l'uomo potesse riaversi dalla sorpresa e reagire, Little John gli sferrò un pugno sul cranio. Un attimo dopo il ragazzo si trovò a sorreggere il corpo privo di conoscenza del malcapitato. Era più pesante di quanto si aspettasse, e fu lì lì per lasciarlo cadere, ma con l'aiuto di John riuscì a deporlo delicatamente a terra senza far rumore. Nell'alzarsi i due incontrarono gli occhi di Djaq, che sbirciava da dietro le spalle dei soldati per capire a che punto fossero.
    - Io... - cominciò Djaq cercando di guadagnare tempo.
    Will la rassicurò con un cenno, ma quasi spiccò un salto nel sentirsi toccare sul fianco...il suono basso di uno sbuffo lo tranquillizzò all'istante: era solo un cavallo della pariglia che tendeva il collo in cerca di cibo. Gli allungò un buffetto passando oltre in fretta: Little John l'aveva lasciato indietro, avanzando da solo verso le due guardie.
    In quella uno dei due colse lo sguardo della ragazza e fece per voltarsi, ma lei dando prova di una notevole presenza di spirito lo afferrò per un braccio gridando:
    - I briganti!
    - Dove? - chiesero all'unisono.
    - Laggiù! - rispose lei indicando un punto a caso dove gli alberi erano più fitti.
    I soldati si girarono in quella direzione: Will e John in due balzi furono subito alle loro spalle e non durarono fatica a mandarli a tappeto.
    Ci fu un attimo in cui i tre si guardarono in viso, e l'unico suono era il mormorare delle foglie mosse dal vento. Poi Djaq si riscosse e ruppe il silenzio:
    - Uomini: così prevedibili - commentò sprezzante, al contempo osservando critica il suo volto riflesso in un elmetto che aveva raccolto da terra.
    Will non potè trattenere un sorriso: non tanto per la battuta, già sentita e non proprio lusinghiera per lui, almeno in senso lato, ma per la vivacità delle movenze di lei, e per quel lato civettuolo puramente femminile che emergeva nei momenti più impensati. Seguendo un impulso improvviso si chinò a baciarla sulla fronte prima di allontanarsi alla volta del carro.
    - Umpf – sbuffò John in risposta, iniziando a trascinare i due contro un albero, uno alla volta.
    La ragazza lasciò perdere l'elmo e lo imitò tirando per le braccia il conducente ancora privo di sensi fin dentro un intricato cespuglio.
    - Marian aveva ragione – constatò Will scostando la cerata.
    - Non è la prima volta – commentò Little John limitandosi a guardare da dove si trovava.
    Djaq alzò gli occhi, ma finì di legare il malcapitato mani e piedi prima di avvicinarsi; non dovette nemmeno sporgersi dalla sponda per prendere una manciata di sale dal mucchio. Lo assaggiò prima di lasciarlo scorrere tra le dita.
    - Questo farà contenta parecchia gente – si rallegrò rimettendo a posto il telo.
    Intanto Will aveva provveduto a scalzare le pietre con un calcio: non avevano più niente da fare lì. Montò a cassetta avviando i cavalli con un colpo di redini. Djaq in due salti lo raggiunse e si sedette accanto a lui. John stava ancora armeggiando attorno l'albero assicurandosi della saldezza dei nodi.
    - Forza John – lo incitò Will sfilandogli accanto – vediamo se riusciamo a liberarci di tutta questa roba entro oggi!

    >> Nottingham Castle – foresteria <<

    Lady Nim, appoggiata ad un bastone, stava camminando per la stanza, saggiando le condizioni della gamba ferita. Trasalì quando qualcuno bussò alla porta: mettere male un piede e cadere rovinosamente a terra con un gemito di dolore fu questione di un attimo. Faith entrò di corsa senza aspettare di essere ammessa:
    - Mia signora! - esclamò allarmata vedendola bocconi sul pavimento, e si precipitò ad aiutarla ad alzarsi.
    - Grazie, Faith – sospirò Nim adagiandosi sul letto – Non sono ancora in forma come pensavo.
    - Date tempo al tempo, vedrete che presto il vostro incidente sarà solo un brutto ricordo.
    - Lo spero – commentò Nim cupa mentre Faith iniziava a spazzolarle i capelli.
    Rivide in un lampo la mano guantata che cercava di afferrarla alla cieca, spingendosi tra le cortine fluttuanti, gli zoccoli di un cavallo imbizzarrito mancarla di un soffio quando era rotolata a terra nella polvere, un uomo incappucciato voltarsi di scatto verso di lei, sfilando la spada da un cadavere abbandonato scompostamente in un caos di foglie e fango. Nel farlo l'assassino aveva appoggiato noncurante un piede su quel corpo insanguinato, con pigra disinvoltura, per strapparla via più facilmente: un gesto banale, insignificante, che tuttavia l'aveva fatta rabbrividire più del sangue che stillava cupo in controluce dalla scanalatura della lama. Ma non era stata quella la cosa peggiore: aveva riconosciuto la vittima dagli abiti, era un paggio che aveva visto per la prima volta quel giorno. Le era venuto da vomitare al pensiero che solo poche ore prima quel ragazzino quasi non stava nella pelle per la fortuna che a suo dire aveva avuto. Fortuna!
    Se non fosse stato per il braccio fratturato di Alec, ora sarebbe ancora vivo....
    - Che abito intendete indossare? - chiese la ragazza intrecciandole sul capo la serica chioma.
    Nim tornò bruscamente al presente, grata di venir distolta da quell'orrore.
    - Penso che quello di seta blu potrebbe andar bene... - un attimo di esitazione - se ce l'avessi qui e non fosse rimasto nella foresta chissà dove – concluse amareggiata.
    Perché finisco sempre per pensare a quella stramaledetta foresta? Se potessi la brucerei con le mie mani.
    - Allora dovrete farne a meno, e usarne un altro – osservò pratica Faith infilando un fiore nei capelli e allontanandosi un poco per valutare la sua opera.
    - Gli altri? - gemette Nim torcendosi nervosamente tra le dita una ciocca ribelle - Non ce n'è uno che sia presentabile, tra strappi, macchie e quant'altro: ho controllato io stessa. Tra la ferita, la lettera e tutto il resto non ho proprio pensato a farmi confezionare un abito adeguato dalle sarte del castello. Che figura, sarò costretta a rinunciare: non posso certo pranzare con lo sceriffo conciata così.
    Non per niente era cresciuta a corte: per quanto fosse anticonformista rispetto a tutte le altre dame, c'erano dei dettami talmente radicati in lei che non avrebbe mai osato trasgredirli. E poi non era solo una questione di etichetta:
    - Soprattutto non potrei mai girare a braccetto con Sir Guy in vestaglia!
    - Oh, non credo che a lui dispiacerebbe – si lasciò sfuggire l'altra con una risatina.
    - Faith! - fece Nim più sorpresa che scandalizzata.
    - Scusate, mia signora, perdonate l'ardire – ritrattò la ragazza abbassando lo sguardo.
    Il momento di imbarazzo passò veloce come era arrivato: la nobildonna avvertiva un senso di comunanza con quella strana ragazza, un'intesa che andava al di là del razionale, e che quasi le faceva paura. Si chiese quanto avesse capito di lei, e quanto sapesse di Gisborne. Sotto sotto era spaventata al pensiero che fosse di pubblico dominio il fatto che il braccio destro dello sceriffo mostrasse interesse nei suoi confronti. Avrebbe potuto ignorarlo a cuor leggero, se non fosse stato per il fatto che il bel tenebroso non le era affatto indifferente.
    E spero solo di non darlo a vedere.
    - Però ora che ci penso potreste chiedere a Lady Marian, sarebbe più che felice di prestarvi un abito e avete suppergiù la stessa figura – proseguì Faith vivacemente.
    - Sei la mia salvezza, che sciocca sono stata a non pensarci prima. Va' a cercarla, e chiedile di venire qui.
    Assurdamente provò un subitaneo sollievo: le piaceva Marian e non le dava fastidio chiederle aiuto.
    - Sarà fatto – rispose Faith e inchinandosi leggermente si apprestò a uscire, quando:
    - Faith! - la richiamò Lady Nim.
    La ragazza si arrestò presso la porta in attesa. La nobildonna le fece cenno di avvicinarsi e a bassa voce le chiese:
    - La mia lettera: te ne sei occupata?
    - Non ancora, non ho trovato..

    - Oh, te ne prego, falla partire il prima possibile! Ho un brutto presentimento.
    - Non temete, mia signora: consideratela già inviata
    – e con questo uscì dalla stanza.
    Si sentì subito rassicurata. Sentiva oscuramente che la sua fiducia non era mal risposta, e la tranquilla efficienza della giovane non le dava motivo di dubitare delle sue parole.

    >> Nottingham City - vicoli <<

    In una delle vie più trafficate della città, la folla fluiva disordinatamente, vociando e spintonando. Bambini cenciosi si rincorrevano gridando, sgusciando agili tra uomini e carretti. Dietro ad un asino carico di fieno, due garzoni svoltarono in una angusta strada laterale, curvi sotto il peso di due sacchi bitorzoluti. Si scostarono entrambi, appiattendosi contro il muro, per far passare un barroccio che procedeva in senso opposto; anche l'asino davanti a loro si era fermato, bloccato da un nutrito gruppo di avventori che in quel mentre stava uscendo precipitosamente dalla taverna prospiciente. Rumori di lotta provenienti dall'interno, e grida di rabbia, davano a intendere che la situazione là dentro non fosse proprio tranquilla.
    - Robin, forse non mi sono spiegato bene... - disse Much posando il sacco a terra.
    - Sì, Much, sì: ho capito! - sibilò l'altro facendo altrettanto.
    - Ma padrone, è.. - esclamò Much esasperato
    - Sshhh! Per la miseria, amico, vuoi tirarci addosso tutti gli uomini dello sceriffo? - lo redarguì Robin accennando col capo a un manipolo di soldati poco distante, che stava sopraggiungendo richiamato dalla rissa.
    - ..incredibile! - concluse l'altro abbassando la voce.
    Insieme osservarono tre soldati fermare rudemente un uomo in fuga e interrogarlo, mentre gli altri entravano dentro con le armi in pugno.
    - Ti ripeto che io non lo trovo poi così strano, dopotutto lui..
    - ..è un uomo di Gisborne, adesso!
    - Sì, ma per quanto Mr Gisborne's man possa non piacere a me e te al momento, non si può negare che sia una piacevole compagnia, soprattutto per una giovane inserviente che lo incontra tutti i giorni.

    L'asino, forse esasperato dal carico e dalla confusione, o dalla forzata immobilità, o da tutto insieme, li interruppe iniziando a ragliare a gran voce, assordando loro e tutta la via. Ovunque si alzarono grida di protesta, ma le bastonate del conducente non fecero che aumentare le proteste dell'animale.
    - Quella doppiogiochista: sembrava una ragazza a posto, PERSINO MARIAN SI è FIDATA DI LEI... - si stizzì Much, alzando la voce per farsi sentire.
    - Io mi fido del suo giudizio, Much, E DOVRESTI FARLO ANCHE TU. - ribattè Robin, praticamente urlandogli nelle orecchie - La ragazza non fa parte della banda, può accompagnarsi con chi le pare e piace..
    - ..TRANNE..
    Much si interruppe imbarazzato: l'asino si era fermato per riprender fiato, e tutti si erano girati a guardarlo quando la sua voce era risuonata forte e chiara nell'improvviso silenzio.
    - ...che con un traditore codardo come quello! - concluse in un bisbiglio.
    - Ma non ce l'ha scritto in fronte! - obiettò Robin esasperato.
    Sapeva di non averlo convinto: era evidente, ma non poteva lanciarsi in una caccia alle streghe solo per farlo contento, e, a dirla tutta, al momento non aveva neanche il tempo per farlo. Parlò in fretta, prima che Much o la bestia infernale di cui vedeva solo la coda e le grigie terga pelose potessero interromperlo.
    - Stammi a sentire: per ora Faith non ha dato prova di slealtà, quindi le concederemo il beneficio del dubbio..
    - Ma.. - cominciò Much, completamente sovrastato da un altro disperato raglio.
    Robin sospirò alzando gli occhi al cielo, quindi riprese il suo sacco e si allontanò a grandi passi nella direzione opposta, facendo segno all'amico di seguirlo. Quando quello lo raggiunse sbuffando, e prese a camminargli a fianco adattandosi alla sua camminata, il fuorilegge concluse:
    - ..E nel frattempo la terremo d'occhio, E avvertiremo Marian: se davvero tu avessi ragione, la prima ad andarci di mezzo sarebbe lei.

    >> Nottingham Castle – alloggi della servitù <<

    Faith stava per aprire la porta della sua camera quando si accorse che c'era qualcuno all'interno, tradito dal rumore di qualcosa che veniva spostato furtivamente, e sicuramente non era un topo. Prese per un attimo in considerazione l'idea di chiamare le guardie, ma la scartò subito: l'intruso avrebbe potuto fuggire indisturbato appena lei avesse voltato le spalle, e ci avrebbe fatto la figura dell'idiota. Senza contare che avrebbe potuto esserci lo zampino dello sceriffo dietro a quella violazione del suo alloggio....e ci avrebbe fatto comunque la figura dell'idiota, a chiedere aiuto ai suoi stessi uomini. Se invece là dentro c'era uno sprovveduto ladruncolo, non dubitava di averne ragione in quattro e quattr'otto, sbrigandosela da sola senza farla diventare una questione nazionale. Silenziosamente staccò dal supporto la torcia più vicina, già pronta per essere accesa all'imbrunire: stringendola nella destra si accostò all'uscio e socchiuse il battente tarlato quanto bastava per sbirciare all'interno. I suoi sospetti vennero confermati: alla fioca luce di una candela di segno, un uomo sta frugando tra le sue cose chino sul baule ai piedi del letto. Per la prima volta si rallegrò che la sua stanza, come tutte quelle della servitù, fosse priva di finestre: il ladro non aveva vie di fuga.
    Trattenendo il respiro si appiattì contro il muro, chiedendosi se fosse davvero una buona idea fare a meno dei soccorsi: per quello che riusciva a distinguere nella penombra, lo sconosciuto era tutt'altro che gracile. Si convinse che l'effetto sorpresa avrebbe compensato la disparità di forze e finalmente entrò in azione: spalancò d'impeto la porta e gridando selvaggiamente calò il bastone sulla testa dell'uomo, con tutte le sue forze. Con rapidità animale l'avversario si girò su se stesso, intercettando il colpo con un braccio. L'impatto con la massiccia mazza di legno stagionato gli strappò un gemito di dolore, ma non si spostò di un pollice. Sbalordita da quella reazione fulminea, la ragazza lasciò la presa sull'arma improvvisata, che roteando finì la sua corsa contro il muro. Quasi non sentì il tonfo sonoro del legno sulla pietra, quando i suoi occhi, finalmente abituati alla penombra, misero a fuoco i lineamenti dell'intruso:
    - Allan!? - esclamò, in un misto di sorpresa e sollievo.
    - Accidenti a te, ma sei impazzita?
    Provò un improvviso, assurdo senso di colpa al pensiero di averlo colpito, e allo stesso tempo il suono di quella voce le procurò un brivido di gioia. Seppe in quel momento di essere nei guai, guai grossi, ma non poteva farci niente...
    - Scusa! ti ho fatto male?
    - Tu cosa credi? Ho l'aria di uno che si sta divertendo, forse?
    - Beh, volevo dire, riesci a muovere il braccio? Fa' vedere!
    - Oi, giù le mani: fa già abbastanza male così.

    Non poté non sorridere di fronte a quell'atteggiamento da bambinetto offeso: un altro sarebbe solamente sembrato ridicolo, ma lui...era irresistibile nella parte del cucciolo bastonato. E il fatto che pretendesse allo stesso tempo di darsi un tono era così tremendamente... “Allan”.
    - Sta' fermo, che non è niente – lo redarguì senza badare alle sue proteste, mentre esaminava con occhio esperto l'escoriazione. A parte quella e l'alone del livido che si andava delineando sulla pelle rimasta intatta, non c'era niente di anomalo sull'avambraccio abbronzato.
    Gli fece cenno di sedersi sul letto, mentre lei rovistava brevemente in una madia, tirando fuori uno traccio pulito. Gli si sedette accanto e iniziò a fasciargli la parte lesa.
    - Ahia, vacci piano!
    - E tu saresti stato nella banda del leggendario Robin Hood? - lo canzonò maliziosa, cercando di colpirlo nell'orgoglio - Quante scene per una bastonata, non è nemmeno rotto!
    - Ah, e ti dispiace?
    - Sì, cioè, no...

    Si confuse nell'incontrare il suo sguardo azzurro, così vicino. Quanto amava quella luce divertita nei suoi occhi, e sì, anche quella strafottente espressione beffarda...
    Poi si ricordò che se uno dei due doveva delle spiegazioni all'altro, quello non era lei. Si irrigidì, sentendosi presa in giro, e desiderando cancellare ad un tempo la sgradevole sensazione di poco prima, e quell'irritante espressione, trasudante allanesca convinzione di spuntarla sempre e comunque, sbottò brusca:
    - Insomma: tu cosa ci facevi nella mia stanza?
    - Avresti potuto accopparmi, ti rendi conto?

    Decise di stare al suo gioco, rispondendogli a tono:
    - Se tu non avessi frugato nel mio baule non sarebbe successo.
    - Questo non ti autorizza ad aggredirmi alle spalle: è sleale.

    Ora però stava esagerando: serrò le labbra e decise di parlare chiaro.
    - Tu hai un'idea della slealtà tutta tua; ti ricordo che non mi hai ancora detto perché ti trovavi nella mia stanza e perché stavi rovistando tra le mie cose.
    - Vediamo: perché cercavo un pegno del tuo amore visto che ti sei dimenticata di fornirmene uno?
    - Allan! - ringhiò Faith torcendo la benda e strappandogli un gemito. Non era più in vena di scherzare.
    - Molto bene, vuoi la verità? Ecco la verità: - e lasciami!
    Lei d'istinto cercò di trattenerlo, ma il ragazzo non ci mise molto a liberarsi e si rialzò in piedi, indietreggiando quasi a mettere più spazio possibile tra loro. Lo osservò guardarsi febbrilmente attorno come in cerca di ispirazione, e rimase in silenzio, in attesa.
    - È molto semplice: ho perso un bottone della giubba, e mi chiedevo se tu ne avevi qualcuno di scorta...pensavo di trovarti qui e chiedertelo di persona, ma tu non c'eri e la porta era aperta, così mi sono detto..
    Smise di ascoltarlo: aveva sperato di essersi sbagliata, ma questo toglieva ogni dubbio. Si sentì triste, molto più triste di quanto aveva preventivato, e mortalmente stanca.

    >> Locksley village <<

    Will sbucò dalla casa più vicina, salutando gioviale qualcuno all'interno. Si diresse senza fretta al carro in attesa sulla strada principale, fischiettando tra sé. Il sole era ancora alto in cielo, e il cassone era già quasi del tutto sgombro. Osservò Djaq sporgersi al suo fianco per incitare Will a darsi una mossa, giusto per cercare di infastidirlo. Infatti non ce n'era nessun bisogno, avevano tutto il tempo del mondo, visto che avevano fatto il giro di tutti i villaggi distribuendo equamente il frutto del loro ultimo furto, e quella era l'ultima casa.
    - Beh, e ora che facciamo? - chiese a tutti e a nessuno quando Will ebbe preso posto.
    - Andiamo a Nottingham a vedere come se la sta cavando Robin – stabilì Will.
    - Ma non dovevamo vederci al campo..? - obbiettò Djaq.
    - Cambio di programma: non penso che si offenderà se gli offriamo un passaggio.
    Little John non ci trovò niente da ridire, così schioccò la lingua e i cavalli si misero docilmente in marcia, tra il cigolio dei finimenti e lo scricchiolio delle ruote.

    >> Nottingham Castle – alloggi della servitù <<

    - Vattene – lo interruppe Faith con voce piatta, senza nemmeno guardarlo, gli occhi in ombra.
    - Come?
    - Vattene, fuori di qui – ripeté la ragazza a voce appena più alta.
    - Cosa ho fatto, adesso? - si informò interdetto.
    Il repentino cambio di atteggiamento, così, senza preavviso, l'aveva spiazzato.
    - Sei un bugiardo! - esplose lei fissandolo con odio - Sapevi che non mi avresti trovata qui, ti ho visto quando Gisborne mi ha mandata di sopra!
    Cazzo.
    Non era tanto lo sgomento di vedersi smascherato, a quello ci era abituato; era la vista di Faith delusa e ferita che gli stringeva lo stomaco in una morsa. E la paura di perderla.
    - Senti, non è come pensi...
    - Sparisci dalla mia vista. ORA!
    - incalzò la ragazza con ferocia, alzandosi in piedi di scatto.
    - E va bene, va bene, me ne vado subito – fece lui indietreggiando di un passo.
    Ma in fondo, perché prendersela tanto? Forse si stava arrovellando su qualcosa che non c'era mai stato, e non era da lui. E poi, perché la gente non lo lasciava mai spiegare?! Chi era lei per trattarlo come un criminale, senza nemmeno concedergli il beneficio del dubbio? Senza riflettere, soggiunse:
    - Non per fare il guastafeste, ma non ci tengo proprio a stare qui a discutere con te: io eseguo solo degli ordini.
    Se ne pentì immediatamente: sapeva di avere torto, sapeva che anche lei lo sapeva, e si rese conto al tempo stesso di quanto dovesse esserle apparso pretestuoso e patetico quel tentativo di recuperare la dignità perduta.
    - Ah, allora è vero che mi stavi intorno per ordine dello sceriffo!
    Ma porc*!
    - No, io...
    Lo sceriffo voleva discrezione assoluta, quindi non aveva altra scelta se non mentirle. Si sentì un verme quando iniziò a negare, ma appena colse l'espressione tra il sorpreso e lo speranzoso nei suoi occhi non poté più sopportarlo. Non ricordava quando precisamente avesse cominciato a tenere a lei, ma di una cosa era certo: non poteva usarla, non Faith, e sicuramente sarebbe stato meglio per lei non avere più niente a che fare con lui.
    - ..volevo dire: sì, sì, fattene una ragione! - corresse in fretta, cercando di sembrare il più noncurante possibile.
    La ragazza per tutta risposta lo schiaffeggiò stornandogli la testa da un lato. Allan non reagì, imponendosi di rimanere fermo, e soprattutto zitto.
    - Mi fai schifo – gli disse ancora guardandolo negli occhi.
    A quest'ultima uscita Allan rimase effettivamente senza parole: era quello che voleva, ma gli aveva fatto male sul serio. Abbassò lo sguardo senza replicare. Faith tornò sul letto e si rannicchiò nell'angolo più lontano abbracciandosi le ginocchia.
    - Lasciami sola – mormorò con voce soffocata.
    Allan si avviò alla porta, la aprì, decisamente sulle spine.
    Everything is a choice: everything we do.
    Quella frase era scolpita nella sua memoria, vivida e vibrante come se Robin l'avesse appena pronunciata: rivide le lacrime brillare nei suoi occhi, e decise in quell'istante che non avrebbe commesso lo stesso errore con Faith, qualsiasi fosse stato il prezzo da pagare. Diede un'occhiata per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi, la richiuse velocemente e ci mise anche il catenaccio. Si girò verso la ragazza e alzando una mano la fermò prima che potesse protestare.
    - Ok, è vero: lo sceriffo mi ha detto di starti alle costole per sapere tutto il possibile sulla sua ospite – ammise tutto d'un fiato.
    - Lo sapevo - commentò l'altra con un tono che lui interpretò come di amara soddisfazione.
    - E Guy mi ha chiesto di trovare una lettera che secondo lui avevi nascosto qui.
    Si sedette con cautela sul bordo del letto, un po' nervoso.
    - Ah. Trovato niente? - si informò lei neutra.
    - No. Cosa c'è di tanto importante in questa lettera, si può sapere?
    - Non so di cosa tu stia parlando.

    Allan si ritrovò a sorridere apertamente mentre diceva:
    - Faith, sarai anche brava in altre cose, ma mentire non ti riesce molto bene, lascia che te lo dica.
    - Dimenticavo che ho a che fare con un maestro – ribatté la ragazza scoccandogli uno sguardo di fuoco.
    - Si fa quel che si può – buttò lì disinvolto, stringendosi nelle spalle.
    Forse non era la cosa giusta da dire.
    Non riusciva a decifrare la sua espressione, e temeva che sarebbe ripartita alla carica con un'altra scenata da un momento all'altro.
    Faith si limitò a studiarlo per un lungo istante prima di chiedere stancamente:
    - Perché mi hai detto di Gisborne, e dello sceriffo? È un altro trucco?
    - No, davvero: voglio solo aiutarti, e fare in modo che si faccia male meno gente possibile.
    - Perché dovrei fidarmi di te?

    A questa obiezione stavolta era preparato.
    - Che cos'hai da perdere? Se sono in buona fede ti posso dare una mano, in caso contrario...se la lettera è in questa stanza, praticamente è già nelle mie mani, e tu non puoi farci niente.
    Le elargì un sorriso di scusa, che lei ricambiò ancor più largo, dopo averlo freddato replicando:
    - Messa così sembra che effettivamente io non abbia molta scelta; peccato che tu abbia tralasciato l'ipotesi in cui io ti lascio qui tramortito, prendo la lettera (sempre nel caso che esista, ovviamente) e vado a spedirla.
    La ragazza aveva una notevole dose di spirito, era innegabile: dovette mettersi d'impegno per non lasciar trasparire la sua ammirazione.
    - Vero. Ma tu non lo farai: non a sangue freddo – la contraddisse con studiato scetticismo.
    - Scommettiamo? - lo sfidò Faith, soppesando il bastone che aveva recuperato chissà quando.
    - E dài, non voglio farti del male.. - cercò di blandirla lui, sempre meno convinto della riuscita della sua nuovissima strategia: “tutta-la-verità,-nient'altro-che-la-verità”.
    Faith gli si avventò contro e lo prese in pieno mentre si stava rialzando dal bordo del letto: entrambi rotolarono sul materasso in un mucchio indistinto di gambe e braccia. Allan riuscì finalmente ad avere la meglio su di lei, strappandole di mano il bastone e bloccandole i polsi.
    La fissò sconfitto, ansimando senza accorgersene: bloccata sotto il suo corpo, Faith aveva smesso di lottare, e si limitava a fissarlo di rimando. Non c'era traccia di paura nei suoi occhi, solo fierezza, sfida..e qualcos'altro, che non riusciva ad identificare. Non cercava nemmeno di liberarsi, o di chiamare aiuto; sembrava quasi in attesa della sua mossa successiva.
    Perché?
    Forse era riuscito a istillarle un dubbio sulla sua buona fede? Soffocò sul nascere quella timida speranza: era evidente che lui non le avrebbe mai fatto del male, lo sapevano entrambi, per quello la ragazza non reagiva. Meglio rassegnarsi subito all'idea che non sarebbe mai riuscito a riconquistarla.
    - E così non hai nessuna intenzione di fidarti di me. Buffo a dirsi, ma in effetti non lo farei nemmeno io – concluse in un soffio, parlando tra sé più che con lei.
    All'improvviso realizzò quanto fosse imbarazzante la situazione contingente: come se si fosse scottato la lasciò andare e si rialzò precipitosamente spazzolandosi i vestiti. Fece del suo meglio per apparire noncurante, quindi si diresse deciso alla porta e dichiarò a voce alta, senza voltarsi:
    - Va bene, ne ho abbastanza di questa storia: io me ne vado e dico a Gisborne che non ho trovato nulla; tu fa' quel che ti pare. Ci vediamo.
    Senza aspettare risposta sganciò precipitosamente il chiavistello.
    - Allan! Aspetta.
    Si immobilizzò, la mano ancora sul ferro. Quando si girò a guardarla, Faith stava rovistando affannosamente sotto il pagliericcio.
    - Eppure ero sicura di averla rimessa a posto – la udì borbottare - ...ah, eccola qui.
    Avrebbe dovuto essere al settimo cielo per l'insperata dimostrazione di fiducia della ragazza, ma fu un duro colpo per il suo ego vederla sventolare trionfante la famigerata lettera sotto il suo naso.
    - Non ci posso credere: ci sono stato seduto sopra tutto il tempo!

    >> Nottingham City – piazza del mercato <<

    - Che stai facendo? - sbottò Marian perplessa, in piedi davanti al suo uomo.
    Portava un mantello con l'immancabile cappuccio calato a nasconderle il volto. Ufficialmente non avrebbe mai dovuto trovarsi lì.
    Robin Hood, comodamente seduto su una panca all'esterno della locanda, era alle prese con un boccale di birra. Teneva lo sguardo fisso sul mercato, dove una bancarella era letteralmente presa d'assalto. Qualche soldato faceva la ronda vagando oziosamente, nella remota eventualità di dover riportare l'ordine.
    - Mi godo lo spettacolo.
    Trattenne un sospiro esasperato: quando Robin giocava a fare il misterioso, fargli vedere che stava morendo dalla curiosità era il modo migliore per incoraggiarlo. Vide arrivare Much facendosi largo tra la folla. Scorgendola, rallentò e si ripulì sommariamente a manate gli stracci che indossava per l'occasione, impolverati di farina, poi andò a sedersi sulla panca e le rivolse un cenno.
    Lo salutò, e riprese il discorso:
    - Io vedo solo una fila di gente che compra il pane.
    - Così sembra – confermò Robin, senza guardarla.
    In quella videro passare una vecchia che portava tra le braccia una sporta piena di panini.
    - Non è un po' troppo? - chiese Marian, stupita.
    Una scorta come quella sarebbe bastata per due famiglie, senza contare che poca gente avrebbe investito così tanto in solo pane.
    - Accidenti, mi ero pure raccomandato di non esagerare: così anche quei fulmini di guerra degli uomini dello sceriffo se ne accorgeranno! Much, ti dispiace andare ad aiutare la signora?
    L'interpellato lo guardò senza capire.
    - Alleggeriscila un po' – suggerì Robin in un secondo momento, visto che quello ancora non si muoveva.
    Il fido scudiero partì lancia in resta, e con una breve silenziosa colluttazione recuperò la sporta. La donna, rimasta con una sola pagnotta ben stretta al petto tra le mani avvizzite, rivolse a Robin un muto rimprovero. Lui ricambiò lo sguardo senza batter ciglio, scosse la testa e le indicò le guardie. Tanto bastò a farla desistere: si ingobbì e se ne andò per la sua strada, senza voltarsi indietro.
    - Cos'ha quel pane di speciale? - chiese Marian.
    Robin fece un cenno all'amico che gli lanciò una delle pagnotte recuperate all'avida vecchietta, per poi allontanarsi a riportare il resto alla bancarella.
    - Diciamo che è più pesante del solito – sogghignò il fuorilegge passandola da una mano all'altra.
    In un solo gesto sfoderò il coltello e tagliò il pane in due, orientando la superficie di taglio in modo che lei potesse vedere qualcosa brillare all'interno. Quando si chinò per guardare più da vicino, riconobbe una moneta d'oro sprofondata per metà nella mollica. Poi lui iniziò a sbocconcellare il panino.
    - Distribuire la refurtiva normalmente non sarebbe stato più semplice? - obiettò sarcastica.
    - Certo, - ammise Robin masticando - ma che divertimento ci sarebbe?
    - Comincio a chiedermi se crescerai mai.

    - Non ci sperare! - rise lui - Ah, già che mi ricordo: la tua avvenente messaggera...
    Avvenente?
    Una fitta di gelosia la indispose all'istante.
    - Faith – suggerì seccamente.
    - Sì, lei: tienila d'occhio.
    Marian era sempre più irritata: perché doveva sempre essere così reticente? E poi lei non era uno dei suoi uomini, non era tenuta a obbedirgli alla cieca, senza sapere cosa stesse succedendo.
    - Perché?
    - Much l'ha vista parlare con Allan.
    - Non significa nulla.
    - No, infatti, ma sai come si dice: “la prudenza non è mai troppa”.

    Di fronte a quella massima così poco da Robin, declamata con pomposa convinzione, non potè fare a meno di stuzzicarlo:
    - Mi stupisci Robin: tu che parli a me di prudenza mi suona nuova...stai invecchiando?
    Robin scrollò le spalle, come se si fosse risentito per non esser stato preso sul serio, e cambiò decisamente discorso, guardando altrove:
    - Suppongo che ci siano altre ragioni oltre al desiderio di rivedermi che ti porta qui.
    - Sì. Ho parlato con Lady Nim. Sembra un tipo sveglio.
    - E?
    - incalzò lui, impaziente.
    - Si stava sbottonando, ma non ha potuto dirmi niente perché lo sceriffo ci ha interrotte.
    - Mmm.
    - C'è qualcosa di strano: lui e Guy le stanno addosso come mosche sul miele, da quando è arrivata. Mai visto Vaizey così premuroso se non medita di ottenere qualcosa.

    Ci si era arrovellata parecchio, e non era giunta a capo di nulla; dubitava che Robin potesse illuminarla in proposito, ma era pur sempre un'informazione che a suo parere andava condivisa. Senza contare che le era sempre piaciuto ragionare con lui sulle mosse dello sceriffo, e scommettere su quale ipotesi si sarebbe rivelata giusta, quando avevano idee divergenti in merito. Era uno dei pochi aspetti che apprezzava del suo ruolo di spia al castello.
    - Forse è proprio così: evidentemente vuole carpire qualche notizia di prima mano sul suo amico Giovanni...o su Riccardo, perché no.
    La considerazione di Robin la colse del tutto impreparata: cosa c'entrava Nim con la famiglia reale?
    - Come?
    - Marian, ti credevo una spia migliore. Hai parlato con lei e non sai chi è?
    - la canzonò il fuorilegge alzando lo sguardo su di lei, senza far mistero di quanto la cosa lo divertisse.
    - Dimmelo tu, visto che sei così bene informato - rispose piccata.
    - La sorellastra del Re – rispose Robin con un largo sorriso.
    - No! - esalò incredula.
    - Così pare. Vissuta a corte con i rampolli reali; inusuale ma interessante, per noi.
    - In che senso?

    - Potrebbe esserci utile avere un alleato a Londra, se le cose dovessero precipitare per il Re. Cerca di sapere qualcosa di più, e magari di accattivarti le sue simpatie.
    Non le piacque il tono condiscendente con cui le rispose, così fu con una punta di irritazione che replicò:
    - Come ti ho detto, ci stavo già provando; non sarà facile, lo sceriffo cerca di tenermi a distanza e Guy è fin troppo sospettoso.
    - Paranoico, ecco quello che è il tuo amico Gisborne – commentò Robin sarcastico.
    - Non è mio amico – lo corresse seccamente.
    - Ah, davvero? No, perché mi pareva di aver capito che...Okok, scusa, non facevo sul serio.
    Marian non si contentò di incenerirlo con lo sguardo e incassare la sua pronta ritrattazione: aveva ferite nell'animo ancora troppo fresche per poterci ridere su con leggerezza, e il fatto che lui non se ne fosse reso conto la rendeva ben poco incline al perdono.
    - Hai poco da fare lo spiritoso: non ha bruciato la tua, di casa – si sfogò, alzando la voce.
    - No, infatti: ci vive solo dentro mentre io dormo nella foresta – replicò caustico Robin.
    - È diverso, tu te la sei cercata!
    - E tu no? Dire che l'hai provocato è dir poco
    – ribattè lui scaldandosi a sua volta.
    Se prima era contrariata, ora era furibonda: poteva anche accettare che lui non capisse che la cosa giusta da fare era consolarla, o almeno lasciar cadere il discorso, ma addirittura accusarla d'esser causa della sua stessa rovina, e di suo padre...dopo tutto quello che aveva rischiato per lui, e per quella che riteneva una giusta causa. E pensare che le sarebbe bastato voltargli le spalle una volta soltanto, e ora la sua vita non sarebbe stata appesa ad un filo, alla mercè dei suoi nemici!
    - Avresti preferito l'avessi sposato? - domandò Marian.
    - Ovviamente no! - protestò l'altro sconvolto, spalancando gli occhi.
    - Allora pensa, prima di parlare – lo rimbeccò lei gelida, piantandolo in asso.

    >> Nottingham Castle – alloggi della servitù <<

    - Deve arrivare a Londra. Intatta.
    - Hai già trovato un messaggero fidato? - chiese Allan.
    Veramente di quel dettaglio si doveva ancora occupare, ma confidava che non avrebbe incontrato ostacoli da quella parte, quindi lo diede per risolto.
    - Credo di sì.
    Allan inarcò appena un sopracciglio, prima di continuare:
    - Allora vai a dargliela subito, prima te ne liberi e meglio è, ma visto che ci siamo facciamo le cose per bene e diamo a Guy quello che vuole...
    Non potè credere alle sue orecchie: era impazzito, o stava scherzando come al solito?
    - Cosa?
    - Ascolta, prima di picchiarmi di nuovo: va' dalla tua padrona e dille di Gisborne e dello sceriffo, fatti scrivere una innocua missiva che possa essere intercettata senza conseguenze. Bada bene, che non deve destare sospetti né in un senso né nell'altro, e soprattutto non-fare-il-mio-nome: io non ti ho detto niente, sia ben chiaro.
    Non ebbe difficoltà ad annuire, seria.
    - Ovviamente.
    - Poi torni qui, mi dai la falsa lettera, io la passo a Guy e tutti vissero felici e contenti. Pensaci: tu hai svolto il tuo compito, la tua Lady ha raggiunto il suo scopo, io il mio e Guy ha la sua lettera da sbandierare allo sceriffo. Che non sarà felice di leggere di sterili pettegolezzi invece che scoprire qualche bel complotto ai suoi danni, ma pazienza, non si possono accontentare sempre tutti!

    Faih cercò di assumere un'espressione intelligente, e distaccata; non poteva limitarsi a fissarlo in adorazione, con aria ebete! D'altra parte lui era lì, con gli occhi che gli brillavano, tutto fiero della sua furberia...prima di accorgersene gli era saltata al collo e l'aveva abbracciato con trasporto.
    - Grazie! - bofonchiò contro il suo collo.
    - Non c'è di che – si schermì il ragazzo, un po' imbarazzato – fa piacere essere apprezzato, una volta tanto..ehi!
    Lei gli appoggiò un rapido bacio sulla guancia prima di lasciarlo.
    - Ma non ti ci abituare! - lo ammonì correndo via.

    >> Nottingham City – piazza del mercato <<

    Much, beatamente ignaro del piccolo dramma appena consumato, tornò a sedersi accanto a Robin, che gli passò il boccale senza dir nulla. L'uomo fissò prima lui, poi la schiena di Marian che slegava il suo baio e montava in sella, allontanandosi senza voltarsi, ed infine il boccale.
    Robin non sembrava di ottimo umore, e anche l'atteggiamento di Marian faceva pensare che fosse successo qualcosa tra quei due. Non che ci fosse da stupirsi: non era la prima volta che litigavano, e quella non sembrava nemmeno una delle peggiori.
    Almeno: di urla non ne aveva sentite, quindi non doveva esser niente di grave.
    Tutto sommato, non erano affari suoi: se Robin avesse voluto parlargliene, l'avrebbe fatto, ecco.
    Sarebbe stato indiscreto intervenire: lui sarebbe rimasto in silenzio, testimoniandogli la sua vicinanza con la sola muta presenza.
    Ovviamente sarebbe stato pronto ad offrirgli il suo consiglio se richiesto.
    - Che voleva? - chiese all'altro pochi secondi dopo.
    Bevve un lungo sorso di birra, in attesa. Era fresca e scendeva giù liscia liscia: proprio quello che ci voleva, dopo tutto quello sfacchinare su e giù. Si pulì la bocca dalla schiuma con un lembo della manica impolverata, e azzardò un'occhiata all'amico. Quello aveva incrociato le braccia dietro la nuca, e sembrava irrimediabilmente perso nei suoi pensieri.
    - Robin.
    Gli sventolò una mano davanti agli occhi, richiamandolo alla realtà.
    - Eh?
    - Che voleva Marian? - ripetè.
    - E chi lo sa. A volte non la capisco proprio – gli rispose Robin perplesso, appoggiandosi meglio alla parete di tavole della locanda.
     
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